sabato 10 marzo 2012

Non visitano più

Mi pare necessario fare un quadro chiaro della situazione e delle sue criticità per quanto riguarda il presente e il futuro del Dipartimento.
Fatemi partire dall'inizio della mia avventura.
Quando ho accettato la proposta di alcuni colleghi di volere essere candidato alla direzione del Dipartimento, ho scritto: "Non accetterei di fare l’esecutore fallimentare o di bordeggiare."
Subito dopo la mia elezione, che è avvenuta con voto unanime, ho detto che la consideravo provvisoria: infatti l'espressione in Consiglio della maggioranza della nostra comunità, gli studenti, non aveva potuto votare: tenete presente che si tratta del 15% dei componenti il consiglio, cioè di sette persone.
La loro elezione avverrà in aprile, credo, e subito dopo, qualunque cosa deciderà l'Ateneo, io rimetterò il mandato, rendendomi disponibile, ma solo se ne esisteranno le condizioni, per una conferma o una rielezione; ad oggi penso che quelle condizioni non ci saranno

Prima di entrare nel merito dei gravissimi e urgenti problemi che dobbiamo affrontare, lasciatemi fare delle considerazioni di merito.
Ho già avuto modo di dire quanto io abbia apprezzato il voto unanime del Consiglio, voglio ripetere che quel voto, così come la compattezza mostrata nelle elezioni per il Senato, rappresenta un patrimonio importantissimo che cercherò di difendere in ogni modo. Un patrimonio che le persone a me più lontane, come concezioni e stile, hanno contribuito con generosità e lungimiranza a creare.
Voglio ribadire anche che la questione della legittimità del mandato espresso senza il voto degli studenti non è una presa di posizione demagogica o populista: è l'unico modo per costruire - anche a livello istituzionale - una comunità coesa e con una comune visione.
Per cui, non appena saranno eletti gli studenti, sento come mio dovere rimettere il mandato.
Non so se mi ripresenterò; anzi in questo momento penso di no.

Mi scuso se sarò un po' noioso con i dettagli, ma sono necessari.
Quando ho deciso di provarci, ho detto che per poter essere meglio, bisogna anzitutto poter avere condizioni normali di lavoro.
Non pensavo alla normalizzazione della Cecoslovacchia dopo l'invasione del patto di Varsavia.
Pensavo che fosse necessario (che sia necessario) che il nostro Dipartimento, la nostra piccola e un po' gloriosa Facoltà di Architettura, potesse avere le condizioni minime per poter lavorare senza essere in condizioni di emergenza, come parte dell'Ateneo di Sassari e nel rispetto delle regole comuni dell'Ateneo.
Dopo la mia elezione ho avuto il contributo e l'impegno di molti di voi (che ringrazio) per affrontare le questioni più urgenti e quelle più strutturali.
Ma i passi in avanti sono seguiti da passi all'indietro e quindi, pur pedalando, la bicicletta resta ferma, e le questioni strutturali restano immutate.
Fatemi fare un censimento.

Gli spazi: sì c'è qualche passo in avanti, un'attenzione vera da parte dell'Ateneo sul problema, qualche possibile azione congiunturale per alleviare la situazione, ma gli interventi di manutenzione straordinaria urgenti sono ancora nebulosi e la certezza di poter occupare spazi al Santa Chiara (quali e quanti poi?) per l'inizio del prossimo anno accademico sfuma ogni giorno che passa; abbiamo poi problemi di arredi e attrezzature che non abbiamo neppure iniziato a porci. Ci sono rischi concreti che la situazione attuale possa durare per una parte consistente del prossimo anno accademico. Non parlo della situazione degli impianti di climatizzazione e neppure degli enormi sprechi energetici che supplire a questa situazione comporta.

Le persone: abbiamo ora sei persone, tutte di grande qualità: Caterina e Marco hanno vinto un concorso (per essere precisi a tempo determinato); quindi ora siamo in sei (per inciso due sole delle quali a tempo indeterminato; come sapete Franca aveva chiesto il trasferimento a Sassari per motivi personali, è stata "bloccata", ma - nonostante la sua generosità e il suo spirito di servizio e nonostante che moltissimi di noi le abbiano chiesto di restare per la stima e l'amicizia che abbiamo per lei- un suo trasferimento pare inevitabile).
Sei, di cui quattro a tempo determinato, sono meno della metà di quel che ci serve (a proposito il servizio di vigilanza all'Asilo scade a Giugno). Siamo del tutto sguarniti per quanto riguarda le reti e l'assistenza informatica, l'ufficio amministrativo, la segreteria didattica, la gestione del sito web e della piattaforma abcd, le attività extracurriculari, i servizi interni e le piccole manutenzioni: almeno sei persone di cui alcun molto esperte. Non parlo poi del personale eventualmente necessario per alcuni laboratori (quelli che una volta venivano chiamati tecnici laureati) che ci permetterebbe di consolidare attività "per conto terzi".

Le risorse finanziarie: qui vengo a quanto è avvenuto ieri, per spiegarmi meglio. La Regione ha tagliato i fondi per i visiting professor (non so se esattamente si sia trattato di un taglio complessivo e poi l'Ateneo l'abbia ripartito con suoi criteri: non abbiamo ancora un rappresentante in Senato e l'informazione  in Ateneo non sempre è molto trasparente); li ha tagliati in modo consistente: sicché per noi il taglio è stato brutale rispetto allo scorso anno: da 18 a 4 (o meglio a 3/4 di 4 vista la riduzione dei mesi) i long e da 30 a zero gli short. Faccio presente che i nostri visiting professor sono una componente fondamentale della nostra offerta formativa e ci venivano dati in numero copioso ed "eccessivo" per coprire in parte l'interruzione  dei finanziamenti regionali. Cosa implica questo fatto? Implica che circa 8 o 9 corsi risulteranno scoperti. Faccio presente che - a un primo calcolo - più o meno tutti siamo a pieno carico didattico; faccio presente che per il nostro modello formativo la presenza di Snozzi o Mias o Husler o Nel.lo, per citarne alcuni,  è di straordinaria importanza e - per me - irrinunciabile. Certo forse con qualche acrobazia possiamo forse mantenere l'offerta in piedi: ma - come vi ho detto - io non faccio l'esecutore testamentario.
Questo fatto mi offre lo spunto per delle considerazioni finanziarie. Faccio i conti in modo approssimato, ma realistico. Diciamo (e in realtà non è stato esattamente come dirò) che dalla Regione ci siano arrivati, sin quando sono arrivato un milione di euro all'anno. Come li abbiamo spesi è presto detto: i docenti a contratto, stranieri o italiani, ci costavano almeno 250 mila euro, i tutores un po' di più, il personale, quando ne avevamo zero strutturato circa altrettanto, manutenzioni, bollette, arredi, pulizie, attività culturali varie circa altrettanto. Non era esattamente così perché il contributo era mediamente meno e si suppliva con acrobazie a partire da progetti e con iniezioni di liquidità e servizi da (alcune) convenzioni e dallo spin-off. Acrobazie che, raschiando il fondo del barile, facendo man bassa dei visiting, riducendo drasticamente le attività, utilizzando i contributi una tantum dell'Ateneo, ci hanno permesso di tirare avanti per tre anni.  Non computo qui gli extra-costi determinati dalla distanza dalla sede centrale; faccio tre esempi: quando il personale che ha l'ufficio a Sassari deve venire ad Alghero per svolgere un'attività (a parte che recalcitra) viene con la macchina di servizio, mentre quando al nostro personale si chiede (con insospettata frequenza) di andare a Sassari sinora l'ha fatto a sue spese e con la sua macchina (oltre alle ore perse in viaggio); non abbiamo un servizio quotidiano di smistamento della posta con Sassari; il Centro Linguistico fa difficoltà per fare corsi di lingue ad Alghero per i nostri Erasmus, in ingresso e in uscita. Insomma, euro più euro meno, ci volevano circa un milione e cento, un milione e duecento, di cui la RAS copriva diciamo otto, novecento mila. Supponiamo che il personale venga portato al numero congruo, che la questione dei disagi operativi delle sede staccata venga risolta, che le manutenzioni vengano prese in carico dall'Ateneo: un conto di quel che ci serve è presto fatto, sono oltre mezzo milione (se non ci sono più i visiting) per contratti a docenti e tutores e circa duecentomila per altre attività e spese di gestione. Insomma i settecento mila che pensiamo possano ragionevolmente esserci erogati dalla Regione e che sono una somma modesta rapportata a quanto si spende per Nuoro, Oristano, Olbia.
Premessa di tutto questo è (sarebbe) che veniamo battezzati ufficialmente, in primis dall'Ateneo come sede decentrata, con tutte le conseguenze che ne derivano (anche dal punto di vista dei diritti e doveri dei lavoratori) e che di questo si faccia una questione di principio nella trattativa con la Regione.
Aggiungo che per arredi e attrezzature serve un consistente stanziamento una tantum e così è per gli interventi di manutenzione straordinaria. Aggiungo che la situazione di cronica carenza di personale in amministrazione rende difficile gestire al meglio le convenzioni e fare i conti con i vincoli e le prassi amministrative.

Voi direte (e avrete ragione di dirlo) c'è la crisi: ed è vero c'è la crisi; bisogna risparmiare: ed è vero bisogna risparmiare.
Ma io penso che quello che a noi serve per mantenere in vita un'esperienza che deve essere (e vogliamo che sia) normale nel funzionamento e straordinaria nella qualità, sia - rispetto ad altri investimenti - una somma ragionevole e sostenibile.
A una Facoltà di Agraria servono aziende agricole, senza non ha senso che esista; a una Facoltà di Architettura servono laboratori progettuali (qualunque sia il suo modello  formativo: da Copenaghen a Bamako): i laboratori hanno bisogno di spazi, di tutores, di professori invitati; gli studenti di Architettura hanno bisogno di viaggiare e di essere in un ambiente cosmopolita.
Servirebbe essere messi nella condizione di poter competere: poi se saremo bravi (e vogliamo esserlo) ci metteremo nella condizione di concorrere ai "premi".

Care colleghe e cari colleghi, care studentesse e cari studenti, avrei voluto parlarvi delle belle idee che abbiamo per celebrare i dieci anni di vita della Facoltà e delle importanti prospettiva che potremmo (avremmo potuto) avere, ma non mi è possibile: queste questioni pratiche sono così assillanti, inutilmente assillanti, che non solo mi tolgono il sonno, ma anche la voglia di progettare e la lucidità.
Il mio bravissimo vice-Direttore, che spero si stia già riscaldando in panchina, dice che dobbiamo essere ottimisti, che in Ateneo ci vogliono bene e che le cose si aggiusteranno man mano.
Ecco: io sono convinto che in Ateneo ci vogliono bene, ma non credo che noi e la direzione dell'Ateneo abbiamo la stessa percezione del cosa fare e del come farlo. Può darsi che abbiano ragione loro e che quindi io debba mettermi da parte.
Se la Regione Sardegna, il Comune di Alghero, l'Ateneo di Sassari non possono permettersi di avere una Facoltà di Architettura ad Alghero e nell'Ateneo di Sassari, non possono permettersi di avere una Scuola che vuole stare al passo con le più importanti scuole europee, decidano con trasparenza di chiuderla o di ridimensionarla.
Ma - voglio dirlo chiaro - non in mio nome e con il mio nome.

Per questo penso che ad Aprile non mi ricandiderò.
Scusate la letteressa. Buona domenica.

ABC


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