mercoledì 18 aprile 2012

Ricerca, didattica e altro.

Avrei voluto dedicare questo blog all'intervista che mi hanno chiesto "quelli di Sardarch", un interessante gruppo di ricerca e discussione, che - bontà loro - mi hanno poi proposto di gestire un angolo che vorrei proporre come spazio condiviso della nostra comunità: ma do solo la notizia e ci tornerò.

Lo dedico invece a una questione cui tengo molto, cui ho dedicato un libretto curioso, quello del ruolo dell'Università a partire dalla ricerca.

In questi giorni c'è la valutazione nazionale della qualità della ricerca degli Atenei (VQR) e - come era prevedibile e giusto - vi sono e vi sono state discussioni e polemiche sui criteri adottati e sull'opportunità di questa valutazione.
Dico la mia: credo che questa valutazione sia opportuna e che - tutto sommato - la metodologia scelta non sia malaccio (se considerata in maniera aggregata).
Ciò premesso mi preme intervenire su alcuni scambi di battute che abbiamo avuto all'interno della nostra comunità.
Prenderò come riferimento per la discussione il mio amico Plinio Innocenzi, per molte ragioni, ma soprattutto perché egli è un ottimo ricercatore, un ottimo docente, un ottimo "organizzatore", ed è molto più bravo di me in ognuna di queste attività.
Per cui se dico che penso che un professore universitario debba (debba) occuparsi di ricerca, di didattica e di organizzazione (di tutte e tre le cose) penso che mi capirà.
Infatti l'Università degli studi ha come scopo specifico la formazione e l'educazione, finalizzate in primo luogo alla costruzione di cittadini colti e preparati (e non - in primo luogo - a una formazione professionalizzante; a questo servono le corporate universities o le specializzazioni o i Master) al massimo livello possibile di competenze e conoscenze (per questo avere un'attività di ricerca è essenziale per l'Università, e per questo io sono totalmente contrario all'idea accarezzata dal Ministro Profumo di avere un pugno di Università di "eccellenza" e una pletora di cosiddette teaching universities; l'attività di ricerca nell'Università sia quella di base sia quella applicata sono consustanziali alla missione dell'insegnamento, anche se deve essere autonoma  e  liberamente scelta); l'Università - dalle sue origini e per sua natura - è poi un organismo autonomo (dallo Stato, dai potenti, dalle Chiese, dai mercanti) e quindi deve auto-governarsi: per questo anche i compiti organizzativi sono propri della funzione dei professori.
Ricerca, didattica, organizzazione: io penso che un professore debba - con una miscela variabile anche diacronicamente - occuparsi e bene di tutte queste tre cose; in particolare penso che la valutazione della sua carriera debba tener conto di questi tre aspetti.
Credo che ci debba essere un'elevata soglia minima per ciascuno di questi aspetti.
Qualche eccezione? Sì.
Alcuni grandi geni cercavano di liberarsi del peso della didattica: penso al grande Galilei, che per riuscire a farlo, oltre che un po' di ruffianeria nei confronti dei Medici ha perso la tutela della Serenissima e quasi ci rimetteva la pelle; o alle ambite cattedre di alcune prestigiose Università "senza obbligo di insegnamento". Ecco a Galilei si poteva concedere di dedicarsi solo alla ricerca.
Anche se il mio preferito è uno dei più grandi geni della storia, l'incomparabile Richard Feynman, che amava fare didattica ed era in grado di portar dentro anche alle lezioni di Fisica di base il portato della sua eccezionale esperienza di ricercatore, premio Nobel.

Quindi ben venga la VQR anche se mi piacerebbe altrettanta attenzione alla qualità della didattica (a quando una VQD?).
E se sul concetto di misura sarebbe bello discutere (lo farò con Corbellini il 3 maggio a Udine).

Ma veniamo a noi. Bisogna dire tre cose.
La prima è che abbiamo dedicato un'attenzione insufficiente al problema della ricerca nella nostra Facoltà. E invece serve attenzione per molte ragioni; non tanto perché non vi siano numerosi colleghi che fanno della ricerca, spesso buona; ma perché siamo una Facoltà (ora Dipartimento) con una grande varietà disciplinare e con un numero non irrilevante di ricercatori trans-disciplinari (un'ottima cosa, un po' troppo penalizzata): su questo dobbiamo riflettere, così come sui criteri di valutazione e di misura.
La seconda è che abbiamo speso una grande quantità di energie per il progetto formativo: alcuni di noi più di altri; ed è vero questo, in taluni casi, può avere provvisoriamente penalizzato la produzione scientifica.
La terza è che c'è stata - soprattutto per l'organizzazione, ma anche per la didattica (penso alle Tesi di laurea) - una distribuzione iniqua, a volte troppo iniqua, dei carichi e questo non va bene.

Quindi ha ragione il mio amico Plinio, alla ricerca va data un'attenzione costante, non occasionale,  e - aggiungo - un'attenzione ragionata.
L'avevo scritto nel mio "programma" e lo confermo; prima dell'estate dobbiamo fare una conferenza di Dipartimento sulla ricerca e dobbiamo razionalizzare e rafforzare i laboratori di ricerca, anche con una qualche attenzione alla loro produttività.
Nel frattempo credo che guadagneremo tutti dal fare uno sforzo di comprensione reciproca: dell'importanza della fisica, dello studio della lingua navajo, dell'architettura e dell'epigrafia nella cultura universitaria e della fecondità della diversità dei programmi di ricerca.

En passant aggiungo che se dobbiamo fare sul serio, sul serio si faccia con trasparenza e con la definizione di criteri pubblici e conosciuti; anche - e ci toneremo - nella scelta dei premiati a teatro (qualcosa di come sono stati valutati i premiati "scientifici" l'ho capita, ma gli altri? E perché i nostri numerosi "non scientifici" - ovvero non compresi nella "misura" da parte di una società esterna - non hanno potuto competere e quelli di Lettere sì?).
Ma - ripeto - ci torneremo

Ad majora.

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